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TERAPIA NON FARMACOLOGICA NELLA DEMENZA: LA REMINISCENZA

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fotoLa malattia dementigena è una patologia ingravescente, degenerativa.

La demenza però non è solo Disperazione, Angoscia, Morte.

Certo, è anche tutto questo.

Ma non dimentichiamoci che un anziano affetto da demenza rimane sempre una Persona, una identità unica; e come tale anche capace di una battuta ironica, di ridere, di cantare, di vivere la vita anche se con più come prima.

L’intenzione di questo breve scritto è quella di tracciare delle linee ampie su quella che è la patologia; nonché presentare una delle possibili attività non farmacologiche finalizzate al contenimento dei sintomi e alla ricerca di un nuovo “canale” comunicativo.

Spesso tendiamo a considerare la demenza come una catastrofe, come l’instaurarsi di un insieme di disturbi che complessivamente distruggono la personalità dell’individuo e contro i quali siamo totalmente impotenti. Questa visione fatalista e negativa non aiuta per nulla le persone che devono convivere con tali disturbi ne tantomeno le persone che le seguono nelle cure.

Si usa il termine demenza, che è una patologia degenerativa, per definire il declino delle abilità cognitive di una persona: memoria, giudizio, ragionamento, apprendimento, riconoscimento, scrittura e lettura.

È importante sottolineare che l’origine effettiva della demenza può essere piuttosto difficile da diagnosticare. Questo perchè i primi segnali di mal funzionamento possono essere considerati conseguenza di “ha dormito troppo, ha dormito troppo poco; è stanco; ha troppe preoccupazioni; ha freddo; ha caldo; etc….”

Altro dato importante è che non ci sono pronostici circa il ritmo di decadimento delle abilità cognitive di una persona, in quanto esistono molte variabili in gioco e le variazioni sono pressoché individuali. Certi stati di demenza possono non evolvere per anni o al contrario degenerare rapidamente.

Un ambiente affettivo e materiale che sia in grado di fornire conforto e rassicurazione può ridurre l’impatto delle inabilità che si vengono a manifestare; è possibile aiutare le persone malate a conservare una relativa qualità di vita, anche se questa vita sarà certamente diversa da quella che avevano condotto in precedenza.

La tecnica della Reminiscenza fu sviluppata dal Dottor R. Bluter negli Stati Uniti degli anni ’60 e fu soprannominata “live review”. Tale metodologia di intervento si basa sugli eventi del passato e gli oggetti ad esso collegati per stimolare la memoria tramite il ricordo. Molti anziani hanno dei chiari ricordi del passato e riescono a richiamare alla memoria, gli avvenimenti della propria esistenza, soprattutto i più remoti. I pazienti con problemi cognitivi, spesso riescono a ricordare avvenimenti della propria infanzia e giovinezza, provando solitamente piacere nel raccontare a chiunque voglia ascoltarli.

La Terapia della Reminiscenza è una di quelle attività che si possono definire a “prova di fallimento” giacché il paziente con decadimento cognitivo, solitamente si sente sicuro se deve affrontare argomenti che riguardano la sua vita passata, mentre si troverebbe in imbarazzo se chiedessimo cosa ha mangiato a pranzo o dirci in quale giorno della settimana ci troviamo. Permette quindi alle persone ammalate di mantenere la propria autostima intatta, anzi di incrementarla quando sono ancora in grado di ricordare, piuttosto che frustarli su quello che non possono ricordare a causa della patologia.

Tale tecnica può essere svolta sia in gruppo che singolarmente.

Attenzione: non si deve forzare il ricordo ma lasciare all’anziano la possibilità di recuperare sensazioni, emozioni, vissuti per lui significativi e che desidera condividere.

L’angoscia dei famigliari e la difficile comprensione della patologia, molto spesso li porta a chiedere di ricordare con insistenza manifestano tutta la loro sofferenza laddove il ricordo sembra assente.

La patologia dementigena è un male che toglie il ricordo e modifica quindi la relazione così come era, forzando la necessità di generarne una nuova, con nuovi codici comunicativi e nuove modalità dello “stare insieme”.

Possiamo però essere di aiuto all’anziano nel mantenere integre alcune aree autobiografiche permettendo loro spazi, modi e tempi di comunicazione.

A nostro aiuto possiamo usare fotografie, filmati, musiche a loro care accogliendo quanto ci raccontano ma senza mai chiedere insistentemente un racconto. Così generiamo ansia, angoscia e percezione di non essere più competenti ed adeguati.

Aiutare l’anziano a mantenere aperto un racconto di sé lo aiuta a percepirsi adeguato ed avere una maggiore stima di sé, all’interno dei confini severi che la patologia costruisce.

dott.ssa Anna Visentin, Psicologa-Psicoterapeuta


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