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UNA CONDIZIONE MOLTO PARTICOLARE: LO STATO VEGETATIVO

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La complessa condizione delle persone in stato vegetativo e di chi se ne occupa, siano i familiari (caregiver informali), siano gli operatori socio-sanitari (caregiver formali), viene ormai considerata un ambito specifico di intervento, che deve seguire suoi percorsi sanitari ed assistenziali. 

La Presidenza del Consiglio dei Ministri (2011) ha stabilito infatti dapprima l’importanza di un adeguato monitoraggio dello stato di coscienza e la necessità di documentare la responsività e/o evoluzione da parte di personale specialisticostato-vegetativo seguendo dei protocolli condivisi nella fase acuta e successivamente, l’importanza di seguire un percorso “coma to community” che porti la persona dalla rianimazione alla riabilitazione e infine a centri dedicati per le persone in stato vegetativo oppure al rientro a domicilio. Questi percorsi dovrebbero essere omogenei in tutta Italia e monitorati in tutte le loro fasi.

Ma chi è una persona considerata in stato vegetativo?

I CRITERI
Nel 1994 The Multi-Society Task Force on PVS ha stilato dei criteri per diagnosticare lo stato vegetativo, che sono considerati tuttora validi. Questi criteri descrivono una persona che non mostra alcuna consapevolezza di sé e di interazione con l’ambiente circostante attraverso comportamenti finalizzati o volontari in risposta a stimoli uditivi, tattili o dolorosi; quindi una persona che non mostra una chiara capacità di interagire con le altre persone.
Leggendo tali criteri non rimarrebbero molte speranze, eppure un familiare o un operatore potrebbero dichiarare certamente che, se l’interazione è molto ridotta e i dubbi sulla comprensione sono molto grandi, la persona in stato vegetativo a qualche livello comunica.
Non a caso il Gruppo di Lavoro del Ministero (2009) raccomanda che la valutazione sia fatta sulla storia clinica del paziente e sul comportamento da lui evidenziato, prendendo in considerazione entrambi i caregiver formali ed informali, che stando a stretto contatto col paziente sono in grado di rilevare anche piccoli comportamenti.
Negli ultimi anni, grazie alle nuove tecniche di visualizzazione del cervello, si è scoperto che persone definite in stato vegetativo, anche da molti anni, conservano delle zone di funzionamento cerebrale. Uno studio che ha avuto molta risonanza è stato quello di Owen e collaboratori (2005), che dimostrò come una ragazza di 23 anni, in stato vegetativo da 5 mesi, a seguito di un trauma cranico per un incidente stradale, mostrava di essere “coscientemente consapevole”. Alla paziente veniva chiesto di immaginare delle azioni del gioco del tennis (sport che praticava) o di camminare all’interno della propria camera. Il risultato fu che i comandi dati dallo sperimentatore erano associati all’attivazione di appropriate aree delle corteccia cerebrale, malgrado l’assenza di risposta motoria esterna, ovviamente aree che si attivavano anche nei soggetti normali sottoposti allo stesso compito.
Se questi risultati sono sorprendenti ed affascinanti, come sottolineano altri ricercatori, la presenza di aree di attivazione cerebrale non è un’evidenza sufficiente per il comportamento associato, a meno che non si riesca a dimostrare che la stessa attivazione non possa avvenire senza di esso. In sintesi non è così semplice interpretare i risultati delle ricerche di neuroimmagine (Legrenzi, Umiltà, 2009).
Questi studi sono importanti per il progresso delle nostre conoscenze ma impongono molti dilemmi etici e paradossi morali che lo sviluppo della tecnologia, a riguardo della persona umana, pone in evidenza alla coscienza di tutte le persone e non solo degli specialisti (Clara, 2010).
Da un punto di vista psicologico il paziente in stato vegetativo, può essere visto come un soggetto fortemente regredito, ritirato in una sorta di “membrana porosa” attraverso la quale i canali sensoriali continuano a far sentire la loro voce. Sarebbe opportuno quindi considerarlo in uno stato di vita regressiva (Vianello, 2011).
Quello che accade al paziente in tutta la sua complessità ha delle forti ripercussioni suoi familiari, che si trovano a vivere uno stato dapprima traumatico nella fase acuta e poi di “sospensione” nella fase cronica. Stern (et al., 1988) lo ha definito un paradosso emotivo, poiché i membri della famiglia sono incastrati nell’impossibilità di elaborare il lutto. Nel lutto c’è la perdita reale esterna ed interna di una persona amata. Nello stato vegetativo la persona è presente ma in un modo nuovo, che poi come vedremo nel prossimo contributo può essere invece molto antico…

Per maggiori dettagli sui criteri diagnostici dello stato vegetativo si rimanda alla consultazione del testo: Assistere presenze assenti. Una ricerca sulle famiglie di persone in stato vegetativo’, 2013, (Ed. G. Erminio), Milano, Franco Angeli.

Elena Clara, Psicologa-Psicoterapeuta.

BIBLIOGRAFIA:
Clara, E. (2010), “I dilemmi dello stato vegetativo”, in D. Cavanna & A. Salvini (a cura di), Per una psicologia dell’agire umano, Milano, FrancoAngeli.

Legrenzi, P. & Umiltà, C. (2009), Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Bologna, il Mulino.

Owen, A.M. & Coleman, M.R. & Boly, M. & Davis, M.H. & Laureys, S. & Pickard, J.D. (2006), “Detecting awareness in the vegetative state”, Science, 313, p. 1402.

Stern, J.M. & Sazbon, L. & Becker, E. & Costeff, H. (1988), “Severe behavioural disturbance in families of patients with prolonged coma”, Brain Injury, 2 (3), pp. 259-262.

The Multi-Society Task Force on PVS (1994), “Medical aspects of the persistent vegetative state”, The New England Journal of Medicine, 330, pp. 1499-1508; 1572-1579.

Vianello, C. (2011). Il cammino della speranza. In press.


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